Jen è una ragazza giovane ed estremamente affascinante. La ragazza sogna una vita a Los Angeles, dove tutto è possibile ed ogni evento viaggia ad una velocità differente rispetto al resto del mondo.
Ma il suo presente è ancora incerto, soprattutto pensando alla sua relazione con un ricco uomo già sposato. Jen rappresenta nella sua vita un’amante passionale. Niente di meglio che un uomo, sommerso dalle responsabilità di un matrimonio, possa chiedere per spezzare la dura routine coniugale e lavorativa.
I due organizzano un romantico weekend nel deserto, dove il suo partner possiede una facoltosa villetta dotata di piscina e di ogni comfort ideale per una coppia clandestina.
Dovevano essere due giorni indimenticabili, che purtroppo vengono interrotti dalla presenza dei due soci dell’uomo, accorsi come ogni anno per partecipare alla tradizionale battuta di caccia.
Ma Jen è troppo sensuale per non mettere in crisi qualsiasi uomo, coniugato o meno. La ragazza sa bene quali sono le sue virtù estetiche, e le mette in mostra per riempire di sangue il cervello dei colleghi del suo fidanzato fedifrago.
Ma non tutti gli uomini sanno stare al gioco, e soprattutto in molti pensano che il gioco della seduzione debba per forza di cose culminare in un rapporto sessuale.
CANIS CANEM NON EST
Revenge è il primo film che tratta un abuso ed una rivalsa girato da una regista donna, Coralie Fargeat che vuole mostrare l’attitudine degli uomini al cospetto di una bella ragazza.
La disanima è decisamente deprimente: ogni uomo nel film sembra che pensi unicamente al sesso di fronte a Jen: a partire dal loro sguardo inebetito e confuso, i tre uomini, capeggiati dal compagno di Jen, sembra che attribuiscano ogni parte del corpo della ragazza ad una fantasia sessuale.
La telecamera, quasi fingendo una soggettiva dei tre uomini pieni di ormoni, incalza con i primi piani sulle parti più sensuali della ragazza, per accentuare così il loro forte desiderio maschile.
Ma Coralie non vuole fare velate discriminazioni, perché anche Jen è ritratta come un’icona femminile fortemente imperfetta, soprattutto quando ama provocare con balli pieni di passione, che prevedono anche un bollente contatto fisico.
Ma Jen fa un grave errore: reputa la relazione con il suo uomo ricco degna di tale nome e soprattutto esclusiva, quando invece i soci presenti assieme a loro sembra che valutino la cosa assolutamente ininfluente, soprattutto se in loro accresce la voglia di avere un vero rapporto sessuale con lei.
A quel punto il cameratismo maschile, che spesso ha un’ accezione positiva, si trasforma in un vile alibi per nascondere nefandezze altrimenti inaccettabili.
Voltare le spalle e chiudere le orecchie davanti a delle terribili urla femminili sembra la via più semplice per scappare da responsabilità verso un essere umano da proteggere.
Essere bella e vestire in modo osé sembrano divenire, a quel punto, il passepartout ideale per aprire le molteplici porte dell’immoralità.
Quando si abbraccia l’oscurità e la violenza, il confine con la morte è estremamente labile, e lo scopriranno presto i tre ricchi uomini presenti.
PULP FICTION
Revenge è un film che vuole essere definito “pulp”, perché mostra senza alcuna censura il sangue. Il liquido vitale, quello che esce dalle ferite e provoca dolore, oppure quello che mostra le tracce di una persona ferita, rappresenta il tema principale del film, ed è mostrato in svariate maniere diverse.
Il colore rosso vivo macchia l’arido terreno del deserto vivificando la resa cromatica della fotografia del film, e sottolinea ogni volta come questo sia la chiave principale per provare immenso dolore, un dolore che viene sottolineato dai primissimi piani degli ottimi attori, che urlano e rendono le espressioni del loro viso un vero e proprio simulacro di terrore e dolore.
Jen dopo la terribile esperienza vissuta sembra rinascere in una persona diversa, incredibilmente intelligente nell’adottare soluzioni per sopravvivere e soprattutto straordinariamente tenace.
L’errore più banale è sottovalutare il proprio nemico; proprio questa grave mancanza fa parte dei tre uomini resi ormai animali mentre cercano la ragazza ferita.
LA VOLONTÀ’ COME ARMA PER SOPRAVVIVERE
Dopo che Jen apre gli occhi in mezzo al deserto la bella ragazza vittima dei pregiudizi maschili in qualche modo cambia. Il dolore acuto la rinvigorisce intellettualmente e, proprio grazie ad esso, riesce a capire come rialzarsi e così non morire.
I tre uomini, capeggiati dal suo amante che funge da capogruppo, sono in mezzo al panorama desertico, valorizzato nella sua solitaria bellezza grazie ai campi lunghi della regia.
La sopravvivenza è la massima priorità in Jen, assieme alla voglia di difendersi dai loro cacciatori. Cacciatori che presto diventeranno sue prede, in nome di una vendetta che include anche l’autodifesa.
Il suo amante, quello che ora orchestra la caccia verso un essere umano (apparentemente) indifeso, è pronto a concludere il suo piano originario.
Poche ore prima Jen era pronta ad accogliere il sesso di quell’uomo. Ora sarà lui a “fare all’amore” con la sua rabbia e determinazione.