Il regista Mike Flanagan è diventato l’alfiere dell’horror su Netflix, dirigendo diverse serie dall’alto tasso emozionale.

A cominciare dal 2018,  quando sul famosissimo palinsesto streaming arrivò Hill House, la sua opera più famosa e da molti ritenuta un vero show cult, fino a Midnight Mass, serie datata 2021 ove Flanagan trattava la complessa questione del concetto di religione.

The Midnight Club è tratto dall’omonimo romanzo del 1994 e da altri scritti di Christopher Pike, scrittore americano che realizzò diversi racconti thriller rivolti ad un pubblico adolescenziale.

In  The Midnight Club al centro della storia vi sono otto adolescenti che vivono in una struttura che assiste malati terminali.

Ogni mezzanotte questi ultimi si ritrovano tutti assieme per raccontare storie paurose e per sigillare uno strano patto: il primo di loro che morirà, una volta trapassato, dovrà fare di tutto per offrire al gruppo un segno dall’aldilà.

FLANAGAN VS TEEN HORROR

La prima puntata di The Midnight Club scorre che è un piacere: i protagonisti dello show Netflix sono ben delineati nel loro carattere e, soprattutto, la tematica trattata è ideale affinché il delicato e gravoso concetto di malattia sposi quello dell’orrore.

Sebbene sia la prima volta che Flanagan tratti una sceneggiatura che abbia protagonisti così giovani, da fan delle opere di questo regista ero quasi certo che potesse trovarsi a suo agio anche con una linea narrativa così distante dalle sue precedenti creazioni televisive.

Il rischio era quello di confezionare uno show horror che potesse essere fin troppo simile a quello di decine di altre produzioni destinate ad un pubblico adolescente, caratterizzato da numerosi (e inutili) jump scare, inseriti durante le scene solo per offrire spaventi a buon mercato.

Sebbene le scene in cui compaiono all’improvviso esseri raccapriccianti siano numerosissime nel primo episodio (facendo guadagnare a Flanagan un curioso primato), la trama sembra essere comunque valida e foriera di emozioni.

Il racconto si concentra principalmente su Ilonka (Iman Benson), ragazza che proprio prima di entrare al college scopre di avere un grave tumore.

Ilonka prende la decisione di passare gli ultimi giorni della sua vita in una struttura che possa offrirle le giuste cure,  dentro la quale conosce subito la sua eccentrica compagna di stanza, Anya (Ruth Codd).

Sarà proprio Anya ad essere, per gran parte delle dieci puntate di The Midnight Club, il perno delle relazioni sociali di tutto il gruppo, attraverso i suoi modi schietti e sfrontati, che delineano una personalità graffiante che non ha alcuna voglia di piegarsi alle impietose regole della sua malattia terminale.

UN MALE TRATTATO CON RISPETTO

Appena letta la sinossi ufficiale di The Midnight Club ho pensato al rischio che la trama potesse trattare il concetto di malattia attraverso una messa in scena volutamente impressionante.

Fortunatamente Flanagan tratta queste difficili tematiche con tutto il rispetto possibile, non mostrando mai scene che facciano vedere in modo troppo dettagliato l’iter che questi giovani devono sopportare ogni giorno per mettere a bada tutte le numerose controversie che la malattia impone loro.

Non si ravvisa alcun atteggiamento morboso riguardo la rappresentazione della malattia in The Midnight Club, e se la sceneggiatura realizza scene che mostrano contraccolpi fisici dei ragazzi malati è solo perché sono strettamente legate alla trama in generale.

Per scongiurare una certa ripetitività di fondo, visto che gli otto protagonisti difficilmente escono da questa enorme magione che rappresenta la loro nuova casa, la trama di The Midnight Club offre un diversivo narrativo rappresentato dalle storie che i giovani si raccontano di notte quando si riuniscono.

Attorno ad un tavolo illuminato da un fuoco vivo che rischiara a malapena il grande locale, ogni notte ognuno di loro deve raccontare una storia spaventosa, mostrata in video con protagonisti sempre gli stessi attori.

PIU’ SI VA AVANTI, PIU’ LE COSE CAMBIANO

Dopo l’entusiasmo iniziale, procedendo con le numerose puntate dello show Netflix (dieci in totale, ognuna di un’ora l’una) ci si accorge come l’ultima opera di Flanagan fatichi a trovare una vera e propria dimensione narrativa.

Sebbene i ragazzi al centro del racconto siano bravi nel mostrare come il loro cameratismo presto si trasformi in una profonda e ammirevole amicizia, l’aspetto horror della serie non prende mai il volo, poggiandosi su effimere apparizioni di spettri poco chiari nella loro rappresentazione che, ahimè, non si capisce mai quale vero ruolo abbiano nella storia.

Anche le brevi storie, che dovrebbero essere l’occasione principale per dotare lo show di idee originali che possano spezzare la monotonia generale della storia, falliscono nell’intrattenere lo spettatore, perché si rivelano assolutamente poco originali e mai divertenti.

The Midnight Club inoltre tratterà anche la storia di un culto pagano di cui verrà a conoscenza la curiosa Ilonka.

Questo ulteriore tema da sfruttare sarà un’altra occasione sprecata, perché il plot non avrà la possibilità di rendere chiare le vicende che legano Ilonka a questi strani riti, offrendo solamente piccoli e confusi colpi di scena che non rivelano del tutto la questione principale, rendendo l’ultimo show di Flanagan quello meno riuscito in generale, dopo le ottime performance televisive passate.

Dove vedere The Midnight Club
COMMENTO
The Midnight Club, sulla carta, poteva essere un’incredibile occasione per intrattenere ed appassionare lo spettatore come solo Flanagan sa fare. Con protagonisti giovani malati terminali che avevano come abitudine quella di raccontare ogni notte storie paurose, la trama era ideale per conquistare gli appassionati dell’horror. La serie Netflix purtroppo non riesce ad essere convincente, perché mostra una sceneggiatura che non ha la capacità di sfruttare l’enorme potenziale horror insito nel plot. Con jump scare inutili che non hanno una valenza narrativa e piccoli racconti che non riescono a coinvolgere particolarmente, The Midnight Club non riesce a spaventare e appassionare. Se fallisce nel suo intento horror, lo show di Flanagan ha invece la capacità di raccontare una valida (e a tratti commovente) storia di profondi legami amicali, legami sentimentalmente amplificati dal destino comune di questi giovani malati. The Midnight Club ha successo nel descrivere lo stato di questi ragazzi, coscienti di vivere un’esistenza secondo una data di scadenza segnata dalla loro grave patologia. Riguardo le altre tematiche della serie Netflix, queste non sono mai esposte con grande chiarezza e rimangono fumose nella loro descrizione, cercando di porre rimedio a questa confusione narrativa tramite sbrigativi colpi di scena.
6.8
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Luca Spina
Dopo la visione di “Grosso Guaio a Chinatown” a 10 anni, la mia più grande passione è diventata il cinema. Poco dopo gli adorati schiacciapensieri vengono surclassati dall'arrivo di un computer di nome “ZX Spectrum”. Scatta così l’amore per i videogiochi e la tecnologia. E le serie TV? Quelle ci sono sempre state, da "Il mio amico Arnold" fino a "Happy Days".
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