Lady Bird è un piccolo gioiello contemporaneo, annoverato nel genere “Commedia” e, francamente, ci chiediamo la ragione di questa classificazione così atipica.
Pellicola che ripercorre lo schema tradizione del film di formazione: adolescente che, attraverso la contestazione dell’ambiente che la circonda, in questo caso una scuola cattolica, contesta l’operato dei genitori, (madre troppo occupata a tirare avanti duramente la famiglia per lasciarsi andare all’emotività, padre, come sempre in questi casi, inefficace e debole).
Il simbolo del rifiuto della famiglia è la sostituzione del nome che questa le ha dato, Christine, (emblematico di un’altar serie di costrizioni: scuola cattolica, veto al sesso prematrimoniale), sostituendolo con la Lady Bird del titolo, (correzione morfologica di ladybird, ovvero coccinella); titolo, per inciso, sì emblematico, ma troppo sfruttato e che ci rimanda direttamente a Ken Loach.
L’uscita dall’egida materna sembra coincidere con l’entrata nel gruppo dei pari. Qui abbiamo una serie di situazioni topic, la cui banalità è resa accettabile solo dalla performance della protagonista, Saoirse Ronan e della coprotagonista, una convincente Laurie Metcalf.
C’è, infatti, un’amica del cuore, con problemi di sovrappeso e di socializzazione. Abbiamo poi un tentativo di entrare nel gruppo dei giovani popolari, salvo poi rimanerne delusi e tornare all’antica amicizia.
Anche il tema “scoperta dell’altro sesso” usa elementi già più volte visti: il primo amore è così rispettoso dell’onore della ragazza, poi si scopre perché gay.
Disturba, oltre ai già visto con cui si fa evolvere la trama, secondo schemi un po’ troppo rigidi, anche il primo finale da happy end, ed un secondo finale superfluo, che toglie più che aggiungere.
Abbiamo la forzatura del finale a dispetto del rispetto dei fatti esposti dalla trama e al costo di estremizzare i personaggi, rendendo il padre ancor meno responsabile e limitandolo alla figura di appoggio del protagonista, (l’aiuto magico del protagonista nelle favole) e rivelando la madre l’unica figura ferma, tradita.
Il film si tiene principalmente sull’interpretazione della protagonista, di cui abbiamo già detto, e sul personaggio della coprotagonista, la madre, vero motore di tutta la storia.
Nella ricerca della femminilità, Christine fa fatica perché si confronta con una figura femminile, la madre, forte e costretta a chiudere la parte femminile e materna perché costretta a fare l’uomo in vece del padre, debole.
Si sente la regia femminile di Greta Gerwig al suo debutto in questo ruolo e già vincitrice del Golden Globe e candidata all’Oscar.
La Gerwig punta sui dialoghi e sull’interpretazione per illuminare scene ed ambientazioni molto realistiche, tese a descrivere un’America periferica ed in bilico, tra New York e Sacramento, come la protagonista, tra Religione e Laicità, tra Pace e Guerra.
Ha scelto il periodo della guerra all’Iraq, per tirare fuori i grandi temi, che però rimangono cornice e solo molto superficialmente vengono affrontati da una adolescenza che usa i dramma planetaria per contemplare i propri drammi esistenziali.
Alla fine, anche questo incendiario si riscoprirà, dopo l’impatto con il mondo, un po’ pompiere.