Basato sul romanzo La vie devant soi di Romain Gary, dal 13 novembre esce in streaming su Netflix La vita davanti a sé, film che vede il ritorno sulla scena di Sophia Loren.
Il film, ambientato a Bari, ha come protagonista Madame Rosa (Sophia Loren) un’ex prostituta ebrea che da alcuni anni ospita in casa sua bambini in difficoltà che non hanno la fortuna di avere accanto a sé i genitori.
Rifiutati perché nati per sbaglio oppure orfani, questi bambini trovano in Madame Rosa quel riferimento affettivo che mai avrebbero potuto ottenere se lasciati al loro destino con i servizi sociali.
Un giorno un dodicenne di origini senegalesi di nome Momò (Ibrahima Gueye) si presenta alla porta della donna. Un caro amico di Madame Rosa le chiede di prendersi cura di questo bambino scapestrato che, se lasciato solo, sicuramente potrebbe imboccare la strada della delinquenza.
Momò è un bambino a tratti aggressivo, che mai ha conosciuto il calore di una carezza e l’amore materno. Il disagio e la rabbia sono espresse con un comportamento aggressivo e riluttante all’idea di socializzare con altre persone.
Sarà una bella sfida per Madame Rosa, una sfida che se affrontata la ricompenserà con la creazione di un rapporto davvero speciale con Momò.
UN RUOLO IDEALE PER UNA DIVA RIMASTA SEMPRE UMILE
Il personaggio di Madame Rosa è ideale per Sophia Loren, perché ritrae molte caratteristiche comportamentali proprie della diva italiana e hollywoodiana, a cominciare dalla spontaneità.
Figura femminile forte e decisa, Madame Rosa è adorata nel suo quartiere per il suo piglio impulsivo, reso ancora più incisivo con una colorita calata napoletana.
Una donna semplice, che ha vissuto un passato da deportata ebrea che non vuole rimembrare troppo spesso, pena la minaccia del ritorno di un dolore che vuole tenere per sempre sotterrato assieme ai suoi ricordi.
Madame Rosa ora vive nel presente, fatto di una vita dedicata ad aiutare tutte quelle piccole anime che non hanno nessuna bussola affettiva che possa orientarli in questo difficile mondo. Il suo comportamento è avaro di smancerie, ma è innegabile che riesca sempre ad essere presente quando i suoi “figli adottivi “ hanno bisogno di qualcosa.
Questa tempra ricorda molto il carattere di Sophia Loren, una diva che non ha mai voluto essere una stella del cinema irraggiungibile, perché il suo palcoscenico è sempre stato la strada, luogo ideale per conoscere e farsi conoscere da tutto il popolo indistintamente dalle classi sociali.
UN FILM GARBATO
La vita davanti a sé è un’opera cinematografica che sa infondere sentimenti dolci amari nello spettatore, senza però metterlo di fronte a scene emotivamente troppo impegnative e soprattutto eccessivamente drammatiche.
Si respira un’atmosfera pacata durante la visione, con le riprese che riprendono la città di Bari sempre baciata dal sole estivo e accarezzata dalle onde marine.
La recitazione dei personaggi principali appare convincente, soprattutto quella di Ibrahima Gueye, piccolo attore che sa esprimere con efficacia tutte le dolorose emozioni che prova.
Le performance attoriali della Loren sono più che soddisfacenti, soprattutto quelle durante le scene in cui l’attrice appare contrariata e spazientita di fronte alla pessima condotta di Momò.
Il modo di recitare di Sophia Loren appare emotivamente equilibrato e mai teatrale, un rischio che poteva esserci visto il dialetto napoletano che contraddistingue il suo modo di parlare.
Molto bravi anche Renato Carpentieri e Abril Zamora, rispettivamente nei panni dei personaggi del Dott. Coen e di Lola, carissima amica di Madame Rosa.
I personaggi chiave del film sono pochi ma incisivi, e riescono a dare una chiara dimensione narrativa alle vicende di Madame Rosa e di Momò, anche senza che la sceneggiatura dopotutto riveli troppe informazioni su di loro.
UN GRANDE BISOGNO DI AMORE
L’incontro di Momò e Madame Rosa in verità avviene prima che il Dott. Coen porti il bambino in casa della donna.
Un incontro piuttosto burrascoso che rende perfettamente idea di come questo indifeso essere umano di appena dodici anni debba il prima possibile avere un punto di riferimento per non finire nella mani di un orco che possa rubargli il futuro.
Momò è solo e non potrà mai più abbracciare sua madre. Non è stato abbandonato, ma non per questo il dolore che prova è meno intenso rispetto ad altri bambini consci che la loro madre sia viva ma rifiuti del tutto la maternità.
Il profilo caratteriale di Momò è ruvido e scontroso, due atteggiamenti perfettamente condivisibili visto quello che ha dovuto patire. Un passato doloroso che non viene approfondito, ma che poteva essere descritto in modo più dettagliato dalla sceneggiatura.
Alcune scene rimangono difficili da comprendere per lo spettatore, soprattutto quando compare un animale selvaggio creato dalla fantasia di Momò al suo fianco, per simboleggiare (forse) l’aggressività di questo bambino.
Insomma, sarebbe stato ideale offrire più informazioni riguardo questo personaggio chiave del film, che sembra carico di pene sentimentali; queste, se descritte in modo più esplicito, avrebbero potuto infondere maggiore pathos a tutto il film Netflix.