Un sito molto particolare mette in palio un misterioso premio a chi pubblicherà in rete il video più votato tra tutti quanti. Solo una regola: questo filmato deve contenere cattiverie indicibili.

I quattro protagonisti dei video più visti si ritrovano in un luogo ameno per competere fra di loro per il premio finale. Scoprono che “Master”, colui che ha organizzato tutto questo macabro gioco, in verità vuole solo far espiare ad ognuno di loro i  peccati commessi facendoli soffrire di diverse torture.

Evil Things è un film horror che presenta una sceneggiatura che mostra come, oggigiorno, nell’era della rete e della condivisione digitale, anche orribili nefandezze filmate potrebbero passare come siparietti di vita reale degni di attenzione.

Durante il film gli interpreti mostrano a tutta la rete come sia cattivo prendere a calci e pugni un clochard e dargli fuoco, oppure organizzare atti sessuali con una ragazza che ha problemi di mente per mostrarla al pubblico ludibrio fra gli alunni della propria classe.

Gesti deprecabili, ma che fanno tornare in mentre la cronaca quotidiana, con ragazzi e ragazze che, nascondendosi dietro la telecamera di un telefonino ed in nome della spettacolarità, confondono la notorietà con l’amoralità.

La cosa migliore del film è proprio questa, far vedere allo spettatore come certi peccati nel 2013 potrebbero passare in rete e registrare visite di milioni di utenti, in Italia come in tutto il mondo.

I quattro protagonisti rappresentano il carattere di parte della “generazione y”, quella che fa dei media che sfruttano internet il loro habitat preferito per farsi vedere e soprattutto per conoscere il mondo.

C’è Christian (Nicola Sorrenti), un  intelligente hacker che fa arrestare il bidello per una denuncia inesistente per pedopornografia e Nina (Marta Gastini), ragazza dal look dark che soffre per la perdita della sorella e che fa male, ma solo a se stessa.

Assieme a loro compaiono Nick (Aaron Reg-Moss) e Julia (Jennifer Mischiati), due ragazzi che rappresentano la violenza e la cattiveria solo istintiva, e forse per questo ancora più pericolosa.

L’appuntamento per la finale rappresenta la loro condanna. Quando finalmente i giovani sadici decidono di svestire le loro identità fatte di nickname, la vita riserva loro la punizione che si confà per tutto il male che hanno provocato contro persone innocenti.

Il “Maestro” del sito è un personaggio ancora più malato, con una personalità intrisa di misticismo religioso e di enorme rabbia per come i suoi genitori hanno deciso di educarlo, in nome del peccato per aver letto anche solo una rivista osé.

Un personaggio seminale, dotato di una maschera forse leggermente buffa, ma che richiede, come da canone del film horror attuale che si ispira alla serie di “Saw”, di essere un carnefice che nella sua follia voglia compiere anche giustizia, per quanto personale e priva di senno.

Il film si pone tra le opere cinematografiche che strizzano l’occhio al genere del “torture porn”, nome forse troppo duro che descrive il sottogenere horror dedicato alla rappresentazione dello splatter tramite dolorose torture inflitte ai protagonisti.

Il caldo sangue umano riempie lo schermo con misura, e non vuole eccessivamente shockare lo spettatore, ma aspettatevi scene poco consone a chi è impressionabile, come un curioso pedicure applicato alla (povera?) protagonista.

Fra urla e scene di violenza più o meno sensata, scorrono così i novanta minuti della pellicola, che mostra una recitazione discreta delle giovane vittime su schermo.

Una buona occasione per mostrare come internet riesca a rendere tutto sopportabile, anche il male senza senso.

Sarebbe auspicabile un seguito del film, che potesse approfondire ancora meglio come la digitalizzazione di tutto, compresa la nostra sensibilità, sia un argomento da non sottovalutare, perché di certo non siamo fatti di pixel né di numeri binari ordinatamente disposti in fila.

COMMENTO
Il film si pone tra le opere cinematografiche che strizzano l’occhio al genere del “torture porn”, nome forse troppo duro che descrive il sottogenere horror dedicato alla rappresentazione dello splatter tramite dolorose torture inflitte ai protagonisti. Il caldo sangue umano riempie lo schermo con misura, e non vuole eccessivamente shockare lo spettatore, ma aspettatevi scene poco consone a chi è impressionabile, come un curioso pedicure applicato alla (povera?) protagonista. Fra urla e scene di violenza più o meno sensata, scorrono così i novanta minuti della pellicola, che mostra una recitazione discreta delle giovane vittime su schermo.
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Dopo la visione di “Grosso Guaio a Chinatown” a 10 anni, la mia più grande passione è diventata il cinema. Poco dopo gli adorati schiacciapensieri vengono surclassati dall'arrivo di un computer di nome “ZX Spectrum”. Scatta così l’amore per i videogiochi e la tecnologia. E le serie TV? Quelle ci sono sempre state, da "Il mio amico Arnold" fino a "Happy Days".
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