1899, Netflix cancella la serie e con essa anche il rispetto per il pubblico

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Andreste al cinema sapendo di vedere un film che non svelerà mai il finale? Oppure comprereste un libro la cui storia viene interrotta a metà?

Dubito che la risposta sia affermativa, visto che una volta pagato il biglietto per entrare in quella magica sala buia per godere di esperienze spesso impossibili da vivere nella realtà, oppure quando vi addentrate nel meraviglioso mondo della lettura, pretendete che certe regole siano rispettate.

Una di queste, che appare di primo acchito banale e quantomeno comune, vuole che l’opera di cui si stia godendo presenti una storia che abbia un inizio ed una fine.

Abbiamo chiamato in causa il cinema e la lettura, due capisaldi dell’intrattenimento, ma sarebbe giusto coinvolgere anche il medium seriale, che sembra abbia oggigiorno sempre più valore all’interno della cultura dell’entertainment, dal momento che quest’anno anche il prestigioso Festival Internazionale del Cinema di Berlino dedicherà, per la prima volta in assoluto, un premio alla serialità.

D’altronde con l’avvento dello streaming e di servizi che offrono centinaia di serie televisive differenti, le serie TV oramai sono diventate il centro nevralgico dello svago casalingo.

Come non citare a questo punto Netflix, una delle prime aziende che ha creduto nella tecnologia dello streaming e che mette a disposizione nel suo palinsesto virtuale una grande moltitudine di show esclusivi.

Proprio parlando di serie esclusive, ultimamente si è accesa una grande polemica riguardo la cancellazione di 1899 (qui trovate le recensione), ultimo show degli autori del fortunato Dark Baran bo Odar e Jantje Friese, che pochi giorni fa hanno annunciato su Instagram con estrema mestizia come la serie sia stata cancellato da Netflix e non avrà mai una seconda stagione.

 

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Quale siano state le cause esatte non sono state rivelate dal gigante dello streaming, ma poco importa: la questione gravosa è il fatto che il pubblico che aveva visto e apprezzato (o meno) l’opera, non potrà mai e poi mai sapere come continuerà questa misteriosa storia.

Essendo composto da 8 puntate da 50 minuti, lo show ha intrattenuto gli appassionati per ben 400 minuti. Quattrocento minuti del loro tempo libero spesi non solo per mero svago, ma anche per seguire una trama e una sceneggiatura che potesse in qualche modo coinvolgerli.

Dal momento che per usufruire di Netflix è obbligatorio pagare una quota mensile, è giusto che ogni utente abbia dei diritti al riguardo, che non comprendano solo il funzionamento della piattaforma, ma anche la garanzia che le opere intellettuali inserite nel palinsesto presentino una sceneggiatura che preveda un ciclo narrativo adeguato.

E’ chiaro come le spese sostenute da Netflix siano ingenti per ogni progetto esclusivo e come appare difficile che altri soldi vengano destinati ad ulteriori stagioni di opere che non sono apprezzate in maniera idonea dal pubblico, ma questo non deve implicare una brusca interruzione di una serie senza che quest’ultima possa svelare il finale.

Poter godere di una storia che abbia una narrazione idonea e conclusiva deve diventare un diritto inconfutabile per ogni cliente della piattaforma.

E’ altamente consigliabile che gli sceneggiatori prevedano un plot che, sebbene possa preludere ad un eventuale seguito, sia comunque autoconclusivo, proprio come succedeva a svariati film, soprattutto durante gli anni ’80.

Basti citare la serie cult di Robert Zemeckis Ritorno  al futuro: ogni capitolo ha un suo finale precipuo ma la trama dimostra chiaramente come sia possibile continuare la storia.

Oppure il divertente film di Joe Dante Salto nel buio, in cui il good ending si dimostra chiaramente autoconclusivo ma assolutamente aperto ad un seguito.

Se le cose non dovessero cambiare, oltre ad instillare una disaffezione verso il genere seriale da parte del pubblico, che si sente sempre più dileggiato da queste scelte aziendali, molti appassionati potrebbero saggiamente scegliere di iniziare un nuovo show solamente quando sono certi che una seconda stagione è confermata.

In questo modo i dati di gradimento di Netflix sarebbero comunque viziati da un pubblico che tarderebbe ad esprimere il suo giudizio, con conseguenti analisi che non sarebbero in grado di valutare il successo di uno show, perché le tempistiche attuali valutano un prodotto soprattutto durante le primissime settimane in cui è disponibile in streaming.

Sebbene il fenomeno dell’interruzione di una stagione televisiva esista da sempre e non coinvolga solo Netflix, il recente apprezzamento delle serie attraverso l’enorme successo dello streaming impone una rivisitazione delle dinamiche che coinvolgono i processi produttivi, per far si che il il medium diventi finalmente maturo come merita.

Ora come ora, osservando il caso 1899 e di altre numerose serie che non permetteranno mai al pubblico di gustare un naturale processo narrativo, alcune serie TV appaiono come un passatempo mordi e fuggi accostabile ad un veloce (e spesso indigesto) pasto in un qualsiasi fast-food.