Non c’è evento più straordinario del parto per una donna. Pensare che un corpo umano possa ospitare una nuova vita è un processo naturale che ancora oggi desta incredibile stupore, alla stregua di un miracolo.
Nove mesi in cui l’organismo femminile si adatta e muta, proprio per dare tutte le possibilità al feto di diventare un bambino in carne ed ossa.
In Run, nuovo thriller con protagonista Sarah Paulson, durante le prime scene assistiamo proprio all’atto del concepimento di una nuova vita.
L’attrice inglese urla di dolore mentre è in procinto di procreare, speranzosa che la nuova creatura che è venuta al mondo sia sana.
Ma spesso la vita risulta imperfetta e odiosa, specie agli occhi di una madre: quella piccola creatura ancora sporca di sangue deve essere assistita, il suo piccolo cuore non batte regolarmente.
La gioia di Diane, il personaggio interpretato dalla Paulson, si trasforma in terrore e ansia. Sua figlia rischia di morire senza aver ancora compreso quanto possa essere bella la vita.
GIORNI SEGNATI DALLE PILLOLE
Dopo scene concitate che ritraggono un neonato appena venuto al mondo in fin di vita, Run presenta Diane assieme alla figlia adolescente Chloe (Kiera Allen).
Chloe è una ragazza afflitta da diverse malattie, che la costringono a stare su di una sedia a rotelle.
Attraverso una lista scritta di tutte le sintomatologie che essa accusa, in pochi secondi la sceneggiatura descrive efficacemente lo status di salute di Chloe, che deve necessariamente servirsi di diverse pillole ogni giorno della settimana per tamponare gli effetti delle sue patologie.
Chloe esce poco di casa, non solo perché le costerebbe troppi sforzi fisici con questi gravi handicap, ma anche perché può contare sul grande supporto emotivo e fisico della madre Diane.
Colorate verdure spesso riempiono i piatti di Chloe, chiara testimonianza di come anche la sua alimentazione debba essere sempre idonea.
Per fortuna il futuro della giovane non sarà sempre relegato in questa piccola e angusta casa, perché a breve dovrebbe arrivare l’esito della domanda al college. Ogni visita del postino, difatti, è vissuta con una certa palpitazione.
UNA PROTEZIONE SOFFOCANTE
L’ambientazione principale di Run è proprio la casa di Chloe e Diane, allestita con numerosi oggetti e ingombranti mobili, che in effetti a prima vista sembrerebbero poco adatti ad una persona che si sposta con una sedia a rotelle.
La regia fin dai primi momenti riesce a catturare efficacemente tutti i rituali che Chloe deve affrontare fin dalla prima mattina, come liberarsi i bronchi al bagno e spalmare una crema lenitiva sulle spalle, ove campeggiano diverse irritazioni.
Le giornate di Chloe sono condivise totalmente con la madre, una persona che riserva alla figlia attenzioni spasmodiche che spesso rivelano atteggiamenti che vanno oltre l’affetto.
Il controllo di Diane è completo, a cominciare dall’approccio della figlia con i media di comunicazione, caratterizzato dal divieto dell’uso di qualsiasi cellulare e l’uso limitato di internet.
Chloe non può interfacciarsi liberamente con il mondo esterno, su questo non ci sono dubbi.
Grazie alla curiosa intelligenza di Chloe ben presto saranno chiare le oscure crepe emotive che si celano nella relazione tra lei e la madre, che porteranno alla luce segreti inimmaginabili.
UN BUON THRILLER
Presentato erroneamente come horror fin nei primi comunicati stampa, Run per l’esattezza può essere catalogato come un classico thriller, ove non vi saranno di certo spiriti, mostri e sangue a farla da padrona nel plot, ma solo (e non è poco) un rapporto decisamente anomalo di una madre nei confronti di una figlia malata.
Sarah Paulson, oramai a suo agio nei panni di personaggi psicologicamente alla deriva dopo le ottime performance attoriali riscontrate anni fa con serie come American Horror Story e recentemente Ratched di Netflix, riesce anche stavolta a comunicare attraverso un semplice sguardo il suo enorme disagio interiore.
Buona la performance anche di Kiera Allen, che assieme alla Paulson praticamente deve reggere il film attraverso l’interpretazione di una ragazza che sarà sottoposta a grossi traumi fisici ed emotivi.
Run, sebbene perda in parte la sua carica ansiogena quando lo script svela tutti i segreti di questo particolare rapporto tra madre e figlia, è un film che regala sicuramente un’ora e quaranta di tensione e qualche palpitazione.
L’immancabile colpo di scena che traina le vicende che vivremo nella seconda parte del film è abbastanza originale e gestito con un buon uso di idee. Idee che poi si esplicano anche nel finale, che risulta inaspettato e così a tratti sorprendente.