I Giochi Olimpici rappresentano la massima espressione dello sport. Con le molteplici discipline presentate, teatro della contesa di innumerevoli atleti, lo spettacolo delle Olimpiadi è una summa di tensione e agonismo senza precedenti.
Assieme a questa famosa tradizione che ebbe origine nell’antica Grecia, da qualche anno accanto alle classiche gare olimpioniche ha destato non poco successo anche un altro torneo, anch’esso comprensivo di decine di discipline sportive proprio come le Olimpiadi, ma con una piccola ma fondamentale differenza: ogni atleta è disabile.
Si tratta delle Paralimpiadi, nome che indica un vero e proprio evento parallelo alle Olimpiadi che si svolge sempre ogni quattro anni, ma che si distingue per la partecipazione di uomini e donne che non diventeranno eroi dopo aver vinto una medaglia, ma che già appaiono come supereroi per aver sfruttato un loro limite fisico come strumento per diventare atleti eccezionali.
Rising Phoenix, il nuovo docufilm Netflix, racconta la nascita delle Paralimpiadi servendosi di interviste ad alcuni grandi atleti, che raccontano di come siano riusciti a far fronte ai problemi legati alla loro disabilità servendosi di una enorme forza di volontà e con una voglia di vivere ed emergere che ha dell’incredibile.
UNA CAMPIONESSA DI SCHERMA DAGLI OCCHI MAGNETICI
Tra gli atleti protagonisti del docufilm spicca Bebe Vio, campionessa italiana di scherma in carrozzina che dal 2011 colleziona importanti vittorie guadagnate in svariati tornei.
Bebe funge da atleta che introduce le tematiche del documentario, raccontando con la sua proverbiale energia e il suo immancabile sorriso come abbia fatto ad accettare che la sua malattia le avesse fatto perdere gli arti superiori e inferiori.
L’amore per la scherma non le ha mai permesso di abbattersi, e pur non potendo contare sull’uso delle mani per impugnare la leggiadra spada che ama sguainare, ha trovato lo stesso un modo per continuare a gareggiare.
Bebe sarà solo la prima di tanti atleti disabili intervistati; alcuni di loro confesseranno che le loro menomazioni non sono state causate da malattie ma purtroppo dall’orrore della guerra e dall’odio degli esseri umani.
Momenti toccanti e delicati che però non vogliono indurre la “lacrima facile” nello spettatore, escamotage che oramai siamo fin troppo abituati a subire durante numerosi programmi televisivi del prime time, con tematiche che sfociano nel dramma funzionale solo a fare facile odiens.
In Rising Phoenix non vi è pietismo ma solo la celebrazione della vita e dello sport, quest’ultimo inteso come disciplina che non solo può intrattenere e divertire un uomo, ma anche renderlo libero dalle fallaci catene della disabilità.
Sport che diventa protagonista di una riabilitazione mentale di una persona portatrice di handicap, proprio come pensava un uomo fuori dai canoni come Ludwig Guttmann.
LUDWIG GUTTMANN, L’ICONA E L’INVENTORE DELLE PARALIMPIADI
Durante i circa 100 minuti di Rising Phoenix si dedica grande spazio non solo a grandi personalità sportive disabili, ma anche alla storia della nascita delle Paralimpiadi.
Se pensiamo alle Paralimpiadi, non possiamo non citare Ludwig Guttmann. Neurochirurgo e neurologo tedesco che fu costretto a lasciare la propria città natale per scappare dalle angherie del regime nazista durante la Seconda Guerra Mondiale, Guttmann fu un uomo straordinario, che dedicò la sua vita a curare uomini vittime di incidenti e malattie che li rendevano portatori di handicap.
Oltre ad aver fondato il più grande ospedale per lesioni spinali in Europa, Ludwig Guttman capì che lo sport, proprio quella disciplina che prima era intesa solo per persone normodotate, poteva rappresentare il viatico ideale per la riabilitazione di una persona disabile.
Idee rivoluzionarie e assolutamente innovative che, nel 1948, portarono a fondare i primi Giochi per disabili, che diventarono ufficiali per la prima volta durante le Olimpiadi a Roma nel 1960.
Durante il docufilm Netflix sarà Eva Loeffler, figlia di Guttmann, a ricordare le incredibili gesta di umanità e di grande lungimiranza medica che contraddistinsero suo padre, una figura che tutti gli atleti delle Paralimpiadi non possono non idolatrare.