Un ultimo abbraccio alla propria figlia morta, un documentario spiega come sia possibile tramite la realtà virtuale

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La realtà virtuale è una tecnologia estremamente desiderabile, anche se non è ancora riuscita a diventare mainstream, ovvero ad entrare nelle case di tutti gli appassionati di tecnologia e, sopratutto, di persone desiderose di esperienze che possano prendere forma solo con la tecnologia avanzata.

Un esempio di cosa può offrire affacciarsi al di là del mondo reale e dare un’occhiata ad una dimensione fatta di mondi virtuali ce lo mostra il documentario I met you (ti ho incontrato), prodotto dalla Munhwa Broadcasting.

Protagonista è Jang, una donna sudcoreana che ha conosciuto una delle esperienze più orribili che possano accadere a un genitore: sopravvivere alla propria figlia. Nayeon ha solo sette anni quando la vita decide di lasciarla a causa di una malattia incurabile.

Sarà proprio l’allestimento di un mondo virtuale a permettere a Jang di poter vedere e interagire di nuovo con sua figlia.

Jang si serve di un casco virtuale e di guanti particolari che riescono a riprodurre un feedback al tatto. Strumentazioni scomode ma efficaci, che possano introdurla in una nuova dimensione.

La bambina è digitalizzata perfettamente,  le sue movenze sono credibili. L’emozione della donna è palpitante. Il software permette che la bambina sia di nuovo presente davanti lo sguardo commosso della madre, e sceglie un background fatto di un rassicurante panorama campagnolo, dove il colore verde è sinonimo di calma serafica.

Un esperimento innovativo e controverso che potrebbe macchiarsi, per qualcuno, di scomodi delitti contro l’eticità, un concetto che molti usano a loro misura e discrezione.

E’ facile farsi trasportare da pensieri che guardano al futuro, con l’ingombrante casco delle meraviglie virtuali magari trasformato in leggeri occhiali indossabili e sopratutto prezzi più accessibili per tutta l’utenza, inconsciamente affamata di esperienza virtuali ma demoralizzata anche da un comfort negato da strumentazioni scomode.

Una cosa è certa: questo avveniristico documentario sudcoreano getta luce su quello che potrebbe essere il prossimo modo di vivere i nostri ricordi. Se oggigiorno sfogliamo foto cartacee e digitali, servendoci anche di filmati video, perché domani non potremmo approfittare di un ricordo virtuale che restituisca una immersione emozionale più veritiera?

Una risposta la potremo dare solo noi stessi. Siamo noi consumatori indefessi di tecnologia a dare forma al mercato, e quest’ultimo si piega all’uso e consumo delle nostre abitudini, sopratutto di quelle che prendono in causa i nostri sentimenti più importanti e intimi.