Se in un unico film si sente parlare, in chiave ironica, di Dio, della psicoanalisi, della magia e dell’amore, allora non puoi sbagliarti: il film in questione può essere solo di Woody Allen.
Nella sua ultima impresa, Magic in the Moonlight, nelle sale dal 4 dicembre, il regista newyorkese, non stupisce con colpi di magia, pur avendo un titolo che lo lascerebbe supporre, né con grandiosi colpi di scena.
Resta però il fatto che quando Allen nelle sue sceneggiature tocca alcuni temi a lui cari ecco che tira fuori, sempre e comunque, il meglio di sé.
Ambientato sul finire degli anni venti, nel sud della Francia in Costa Azzurra, Magic in the Moonlight narra la storia dell’illusionista saccente, scorbutico e arrogante Stanley Crawfort, interpretato da Colin Firth, che si reca in Costa Azzurra per smascherare l’affascinante chiaroveggente Sophie Baker, Emma Stone, idolatrata in tutta Europa per i suoi magnifici poteri.
Il film è strutturato in due parti, la prima in cui l’illusionista Stanley osserva attentamente la medium in azione per poterla smascherare e la seconda in cui egli stesso si lascia convincere dai poteri della bella Sophie al punto tale da restarne in qualche modo affascinato.
Per chi ama lo stile di Allen e quindi ha visto ogni suo film, potrebbe rimanere deluso dalla totale mancanza della “Allenizzazione” di Colin Firth. A differenza della maggior parte degli interpreti maschili dei suoi ultimi film, l’illusionista scettico interpretato da Firth non balbetta, non è timido, non è sottomesso e non ricorda neanche lontanamente lo stile di Allen.
Al contrario ha una presenza forte, predominante, un’ottima dialettica e una bella presenza che padroneggia completamente la scena dal primo all’ultimo ciak.
Emma Stone, brava nel ruolo della chiaroveggente un po’ inconsapevole delle sue capacità, risulta molto credibile quando sgrana i suoi occhioni grandi e blu, per mettersi in contatto con i defunti o per prevedere cose che succederanno o per raccontare di cose già successe.
Ben studiato e ben piazzato il ruolo dell’adorata zia Vanessa, interpretata da una magnifica Eileen Atkins, che a metà del film diventerà l’es parlante del nipote Stanley.
Nel complesso il film risulta gradevole, molto leggero e senza pretese. Ti ricordi che stai vedendo un film di Allen soprattutto quando ci sono dialoghi pungenti sulla religiosità, su Dio e sull’amore.
Quando si parla dell’analisi e della preghiera. Quando ti accorgi che la scelta musicale è ricaduta sul jazz, tanto amato dal regista e quando il romanticismo viene prepotentemente sopraffatto dall’ironia.
Insomma che si odi o si ami Allen resta sempre quel regista che riesce a far parlare di sé e con questo film, probabilmente, riuscirà nella magica impresa di strappare qualche inaspettato sorriso.