Era l’anno 1980 quando dalla regia di Sean S. Cunningham nasceva un film horror che, a prima vista, poteva sembrare un lungometraggio come tanti in quegli anni, fatto di splatter e di decine di morti ammazzati, filone che poi venne ribattezzato con il nome “Slasher”.
Ma quel film, in verità, era diverso. Il suo nome era Friday the 13th (Venerdi 13 in italia); la scenografia era composta da un campeggio situato nel cuore di una foresta che ospitava uno splendido lago. Proprio per questo la località era chiamata “Crystal Lake”.
Dentro questo campo erano soliti sostare decine di giovani ragazzi, che avevano una grande voglia di fare baldoria e sesso.
Ma una ventina di anni prima, proprio in quel silenzioso lago, era annegato un ragazzino di nome Jason. Il fanciullo aveva problemi comportamentali, e proprio per questo era spesso deriso dai giovani tracotanti dell’epoca.
Jason morì annegato fra quelle acque dolci, chiedendo invano aiuto agli ospiti del campo. Costoro nemmeno si accorsero del fatto.
Questo l’incipt del primo film, che non aveva in effetti come protagonista principale il nostro Jason, ma sua madre.
La direzione del film è notevole: a fronte di una regia per lo più semplice, una colonna sonora tagliente ed angosciante riesce a creare un pathos incredibile.
Quasi tutti gli ospiti del campo Crystal Lake periscono travolti dagli omicidi di un misterioso assassino. Particolarità del film, per l’epoca, era la messa in scena degli omicidi: sempre differenti, ognuno con una arma differente, e che ritraevano le vittime fare le cose più disparate mentre venivano tagliuzzate o trafitte.
Il dado (horror) è tratto, e dopo il primo film ne seguono tanti altri. Friday the 13th diventa una vera e propria saga. Ma in questo spazio vogliamo citare solamente i primi tre episodi, quelli veramente degni di nota.
A partire dal secondo capitolo arriva lui, sua maestà Jason. Un ragazzone che ama indossare una bella maschera da giocatore di Hockey per nascondere il suo volto. La regia è di Steve Miner.
Lui proviene dal lago, e non è per niente un essere umano come si potrebbe credere. L’atmosfera, a partire dal secondo episodio, si fa ancora più tetra.
Lo spettatore, impressionato di fronte alle barbarie di Jason, nasconde dentro di sé una piccola vocina che quasi gli suggerisce di parteggiare per quest’uomo mascherato perché, in fin dei conti, ha perso la vita a causa della mortale indifferenza di giovani che si beavano tra droghe e sesso.
Ma, soprattutto, ora ha perso anche l’ultimo parente che gli rimaneva in vita. Sempre tra i boschi di Crystal Lake.
Con il terzo capitolo si inizia a focalizzare l’attenzione anche sulle vittime, sulla loro rabbia, la loro disperazione ed il loro dolore. L’ultimo superstite si trasforma esso stesso in assassino, ed armato incalza sulle membra già morte di Jason per sfogare la sua rabbia e la paura che prova.
Anche lui diventa, in parte, un omicida. E con questa scena si capisce bene che Jason, in fondo, fa parte un po’ di noi tutti. E’ l’abisso della rabbia, dell’ingiustizia e della violenza. Quest’ultima estremo mezzo per far valere i proprio diritti in una società che spesso li calpesta.
Quando l’horror, dietro a schizzi di sangue e corpi mutilati, nascondeva anche più di un messaggio per le masse.